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Posts written by Dan Pritcher

view post Posted: 12/9/2014, 15:29 Sondaggio #1 - Inventa la battuta!
Che bello vedere tanta partecipazione! :D
Io ho votato 1, 12 e 13.

Fortissima anche l'idea di pubblicare una vignetta con le battute più votate! :)
view post Posted: 9/9/2014, 14:25 Inventa la battuta! #1 - Inventa la battuta!
Sono d'accordo con Hann! Complimenti a tutti! :D
view post Posted: 5/9/2014, 17:28 Inventa la battuta! #1 - Inventa la battuta!
CITAZIONE
Oh, no... non può essere di nuovo l'allarme contaminazione: ho messo a punto i sensori da poco! Allora forse è davvero in atto una contaminazione da virus... mi sento già formicolare le mani, ho la nausea e mi gira la testa! Quanto mi resterà da vivere???

:lol:

Sono molto felice che abbiate "adottato" il nostro giochino preferito. Un affettuoso saluto a B'Elanna e a tutto l'SG-F da parte di tutti noi della Writers Trek!! :D
view post Posted: 5/1/2014, 15:10 Classifica Finale! - Lv. 24 - Archivio Pubblico
Grazie a tutti... è stato molto divertente partecipare! :)
view post Posted: 10/12/2013, 16:27 Inizio ultimo round - Lv. 24 - Archivio Pubblico
Tranquillo... va bene anche aspettare qualche giorno... :)
view post Posted: 1/12/2013, 23:41 Una nuova realtà, di Daniele Mingolelli - Gli amici della Writers Trek
UNA NUOVA REALTA' - di Daniele Mingolelli

Era tardi come ogni sera, purtroppo.

Leo non era riuscito nemmeno stavolta a smettere un po' prima di lavorare, e dire che si era ripromesso più volte di farlo.
Da quando aveva vissuto quell'incredibile esperienza non era più riuscito a concentrarsi come doveva sui suoi impegni lavorativi. E dire che ci aveva provato tante volte.
Era come se tutto intorno a sè avesse avuto d’improvviso poco senso e, inutile negarlo, non riusciva più a sentirsi lo stesso di prima. Ripensava spesso a quella straordinaria avventura passata a bordo di quella ancor più straordinaria stazione spaziale del futuro, e a tutto ciò che aveva vissuto insieme a quelli che ormai sentiva come suoi buoni amici.
Chissà come sarebbe stato poter tornare su Deep Space Nine, anche solo per un attimo; andare a farsi una chiacchierata con Julian e Miles al bar di Quark, davanti ad un buon raktajino caldo. E chissà come sarebbe stato rivedere lei…

Si era poi svegliato da quei sogni impossibili, scacciando velocemente quei pensieri dalla mente. Stancamente, con un gesto ormai consueto, aveva composto il numero di cellulare della moglie per avvisarla che stava per uscire solo ora dall’ufficio e che sarebbe tornato più tardi. Ormai era quasi un rito, e la santa donna all’altro capo del telefono non ci faceva nemmeno più troppo caso.

Di nuovo la strada buia, di quel buio pesto delle serate senza luna. Leo aveva ancora il vivo ricordo di quella notte in cui iniziò tutto… si trattava proprio di una notte come quella. L’unica differenza era che stavolta non pioveva, per fortuna: era ancora autunno dopotutto. Ma perché tornava a pensare a quelle cose? Forse era meglio distrarsi ascoltando un po’ la radio.

Notiziari serali… sempre la solita storia. La situazione nel paese di Leo non era rosea: la crisi economica toccava ormai proporzioni preoccupanti, molta gente ne risentiva e spesso Leo si soffermava a pensarci. Chissà come sarebbe stato perdere quel lavoro che aveva faticosamente conquistato… già gli sembrava difficile dover mantenere la famiglia nelle sue attuali condizioni e s’immaginava con terrore cosa potesse significare non avere più nessuna garanzia per il futuro.
La situazione politica non lo risollevava certo da quei pensieri foschi. Il suo paese era attanagliato da una classe politica ormai corrotta e senza scrupoli, che non sembrava più interessata a governare il popolo ma solo a sfruttarlo il più possibile per i propri biechi interessi.
Anche la situazione internazionale non sembrava molto migliore, dopotutto. I focolai di guerra nel vicino medio oriente si erano accesi sempre di più in quegli ultimi tempi, e c’era il serio rischio di un conflitto globale in procinto di divampare da un momento all’altro. Un conflitto che non avrebbe di certo risparmiato l’uso delle tanto temute armi atomiche, così osteggiate in passato quanto spavaldamente evocate invece da qualche decennio a questa parte.

Ma cosa era mai successo a quel suo mondo? L’uomo sembrava aver perso nuovamente il lume della ragione, come quando cadde nel baratro dell’ultima guerra mondiale, durante la metà del secolo scorso. Le flebili speranze di pace e prosperità che avevano rischiarato l’orrore di quelle buie esperienze ormai sembravano come offuscate, se non quasi del tutto dimenticate. Pace, prosperità e uguaglianza tra i popoli avevano assunto un significato quasi del tutto fittizio, come fossero una pallida maschera teatrale da esporre in occasioni ufficiali, e da togliersi subito dopo per mostrare un volto ben diverso nei fatti. Interessi economici e politici erano gli unici veri stimoli di intervento degli stati nazionali, che nel frattempo si erano sempre più divisi tra loro, a dispetto delle belle parole snocciolate nelle conferenze stampa e nei consessi internazionali.

Spesso Leo aveva pensato a quanto quel suo mondo fosse diverso da quello del lontanissimo 24° secolo che aveva avuto il privilegio di visitare. In quei momenti si chiedeva sempre più insistentemente come sarebbe mai stato possibile per l’uomo risollevarsi dalla sua infima situazione, per raggiungere finalmente quella agognata realtà. Forse sarebbe servito lo spettro di una nuova, ancor più terribile guerra per raggiungere quell’obiettivo? In cuor suo sperava davvero non fosse così, anche se in verità lo stava temendo sempre più spesso.

Mentre si perdeva in quei pensieri sentì d’improvviso uno strano rumore provenire dalla sua auto.
Un suono sordo era scoccato dal lato esterno della carreggiata e aveva provocato un fragoroso rumore d’impatto dall’interno del motore. Un denso fumo ed un fitto odore di bruciato erano penetrati nell’abitacolo, spaventando alquanto il povero Leo che tuttavia riuscì a rimanere freddo e a decelerare lentamente. La strada era semideserta a quell’ora ed era anche scarsamente illuminata, a causa degli scellerati risparmi sull’illuminazione pubblica operati dai comuni in quegli ultimi tempi.
Leo, ancora scosso e spaventato dall’accaduto, era riuscito ad accostarsi alla meglio lungo una piccola rientranza della strada che stava percorrendo. Questa costeggiava una zona verdeggiante e brulla, immersa in un quartiere periferico limitrofo al suo luogo di lavoro.
L’uomo uscì di corsa dall’auto e aprì il cofano, cercando di capire cosa fosse successo. Un denso fumo nero si liberò dal motore dell’automobile, non lasciando presagire nulla di buono sulla causa del guasto. Sarebbe stato difficile tornare a casa presto, pensò con tristezza e preoccupazione Leo mentre cercava invano di raccapezzarsi sul da farsi.
Cercò di usare il suo cellulare per chiamare i soccorsi ma si accorse con disappunto che era di nuovo fuori uso: succedeva sempre nel momento meno opportuno! Avrebbe dovuto assolutamente cambiarlo, quel dannato cellulare…

Mentre pensava questo sentì uno strano rumore provenire dalla campagna di fronte a lui e, d’istinto, si contrasse e si mise al riparo dietro ad un albero poco distante. Erano rumori di passi che avanzavano veloci tra l’erba secca. D’improvviso due figure scure si palesarono in lontananza. Leo riuscì appena a vederle in quell’oscurità minacciosa: erano due strani uomini estremamente magri, che indossavano un vestito scuro ed uno strano cappello, come di quelli che si usavano molti anni fa.
Se non fosse stato in quella situazione drammatica Leo avrebbe giudicato la cosa quasi comica, ma purtroppo in quel momento era tutt’altro che allegro. L’incedere dei due figuri era strano, era come se si muovessero sotto l’effetto di sostanze allucinogene o qualcosa che impediva loro di muoversi con fluidità. Questo, in un certo senso, era un indubbio vantaggio per il povero Leo, che non si sentiva affatto tranquillo in quella situazione. Perché mai avrebbero dovuto nascondersi nella boscaglia se non per cercare di aggredirlo?

D’improvviso Leo fece un brusco movimento e si rese purtroppo visibile ai due magri figuri, che in risposta si arrestarono improvvisamente estraendo qualcosa che sembrava una strana arma. Ciò fu sufficiente per far scattare l’uomo in una corsa disperata nell’esatta direzione opposta da dove provenivano i minacciosi figuri. Leo non era affatto abituato a correre né tantomeno era veloce ma la paura lo aiutò a fare quasi l’impossibile, complice anche la lentezza degli strani uomini dal completo scuro. Spaventatissimo cercò di infilarsi anch’egli nella zona boscosa a ridosso della strada, sperando di rendere il compito degli assassini il meno facile possibile. Di tanto in tanto sentiva degli strani schiocchi provenire da quelle armi… ma dove aveva già sentito quel rumore?
Sapeva che là vicino avrebbe potuto rifugiarsi nella stazione della metropolitana, non mancava molto per fortuna. Attorno a sé vedeva ogni tanto dei rami di albero cadere per effetto di quelle armi. Improvvisamente Leo capì che si trattava di armi ad energia, come quelle che aveva visto su DS9. Erano indubbiamente dei phaser!
Ma era mai possibile che qualcuno nel suo tempo avesse dei phaser? E perché mai doverli usare contro uno come lui?
La sua mente si torturava con quelle domande almeno quanto il suo corpo, che in quel momento stava quasi cedendo alla fatica della corsa, così poco agile e atletico qual’era.

Finalmente le luci della stazione della metropolitana apparirono di fronte a lui, e per Leo fu quasi come una liberazione. Forse avrebbe avuto una possibilità di rifugiarsi là dentro, anche se in verità era molto tardi e probabilmente non ci sarebbe stata molta gente a distogliere gli assassini dalle loro macabre intenzioni.
Uno di questi, nel frattempo, inciampò in una buca del terreno cadendo goffamente a terra. L’altro cercò di aiutarlo ancor più goffamente e questo diede fortunatamente al povero Leo la possibilità di uscire allo scoperto.

L’uomo si precipitò nella stazione della metropolitana che appariva apparentemente deserta. L’illuminazione era fioca e mal distribuita, proprio come in una tipica stazione della metropolitana di periferia. Anni fa utilizzava molto spesso la metropolitana e quella stazione la conosceva abbastanza bene, per fortuna.
Un annoiato controllore aspettava svogliatamente l’ora di chiusura guardando il suo orologio da polso, sperando che il tempo in questo modo passasse più velocemente. Ma quella apparente tranquillità era destinata presto a svanire.
D’improvviso gli si precipitò davanti una furia forsennata a tutta velocità: era Leo che cercava disperatamente aiuto urlando come un ossesso. Il tizio si scosse appena dal suo torpore rimanendo quasi del tutto impassibile e chiedendo anzi al pover’uomo di esporre il biglietto di ingresso. Era come se non credesse alla sua richiesta d’aiuto o non stesse capendo ciò che realmente stava succedendo. Sconvolto Leo proseguì nella sua disperata fuga scavalcando come potè i tornelli di ingresso ancora chiusi, mentre minacciosi sentiva avvicinarsi sempre più i passi dei due assassini. Questi continuavano ad avanzare nel loro solito incedere dinoccolato, ma ben risoluti nel loro intento criminale.
Leo cercò di precipitarsi lungo i gradini della scala che porta ai treni, dirigendosi lungo un corridoio poco visibile e tentando così di sviare i suoi inseguitori. Mentre correva si stava chiedendo come aveva potuto resistere in quella corsa forsennata senza rimanere a terra dalla stanchezza. Le gambe e i piedi gli facevano un male tremendo ma nonostante tutto riusciva ancora a correre: evidentemente il suo istinto di sopravvivenza era più forte di ciò che immaginava. Tuttavia il fiatone e la fatica si facevano pesantemente sentire e si chiese per quanto ancora avrebbe potuto resistere a quello sforzo.
I due assassini, benchè apparentemente goffi e malfermi, riuscivano invece a rimanergli sempre dietro a poca distanza: Leo riusciva a sentire il rumore sordo delle loro scarpe di cuoio. Ma come diavolo facevano a riuscire ad andare dovunque cercasse di scappare? E perché mai quella stazione, notoriamente sempre affollata, quella sera era invece così stranamente deserta e silenziosa?

Leo sapeva che se non si fosse presentato un classico colpo di fortuna avrebbe ben presto dovuto arrendersi: sperava a quel punto nell’arrivo fortunato di un treno che avesse potuto prendere al volo per sfuggire ai suoi inseguitori, magari prima che loro riuscissero a salire. Ma purtroppo quelle cose succedevano solo nei film e, puntualmente, le banchine dei treni apparirono tristemente deserte quando le raggiunse.
L’uomo era disperato e non sapeva davvero più cosa fare: affannato e sudato cercò alla meglio di nascondersi dietro un pilastro alla fine della banchina ma sapeva bene che si trattava solo di un tentativo disperato. I due uomini apparvero minacciosi dal corridoio d’ingresso muovendosi lentamente, come al loro solito, per cercare di localizzarlo. Avevano entrambi indosso uno strano vestito nero con una camicia bianca e una sottile cravatta nera. La loro corporatura e l’altezza coincidevano, al punto che pareva quasi fossero gemelli. I due cappelli neri che indossavano coprivano in parte il loro viso che sembrava stranamente butterato o forse addirittura tumefatto.

Leo era ormai in preda al terrore e non riuscì a trattenere il suo respiro affannato: aveva tentato ma senza successo.
Questo consentì ai due uomini, al contrario per niente affaticati ma invece appartentemente calmissimi, di identificare la sua posizione correndo verso di lui.
Ormai Leo era allo stremo e capì che era giunta la sua fine. Il suo corpo ebbe uno spasmo e cadde a terra, ormai inerme. Guardava i suoi assassini avvicinarsi mentre uno di loro estrasse l’arma: era davvero una pistola phaser come aveva immaginato poco prima.
Leo rimase terrorizzato anche dall’aspetto di quei due tizi: non sembravano affatto umani. Il loro viso era grinzoso e pallido e i loro occhi brillavano di una luce rossa e tetra. Il poveraccio non capì se avere più paura della morte o di quei due esseri che sembravano usciti da uno dei suoi incubi peggiori.

Uno dei due puntò verso lo sventurato la sua arma, mantenendosi calmo e in silenzio. Leo non cercò nemmeno di urlare o di pregarli, perché tanto aveva già capito che non sarebbe servito a nulla.
Nell’esatto istante prima che l’assassino sparasse Leo parò istintivamente il suo viso con le mani, come volesse disperatamente proteggersi dall’urto del raggio ad energia. E fu in questo momento che successe una cosa inspiegabile.
Fu come se le sue mani avessero in qualche modo sprigionato uno scudo di energia che fece dissipare il raggio del phaser lungo il suo corpo, proteggendolo dalla sua inevitabile disintegrazione. Leo rimase basito di fronte a quell’accaduto e pensò che fosse una cosa impossibile. Anche i suoi assassini sembravano altrettanto sgomenti e impreparati a ciò che era successo. L’altro uomo in nero, visibilmente irritato, tentò anch’egli di sparare con il suo phaser contro Leo ma il risultato fu esattamente lo stesso, con somma gioia e sollievo del poveraccio che, al tempo stesso, riuscì anche ad alzarsi nuovamente.
Ma non occorse scappare, perché prima che i due potessero reagire a quell’incredibile fatto, si sentì nuovamente l’eco di due phaser. Stavolta, però, i colpi furono indirizzati contro i due assalitori, che caddero a terra con un tonfo sgraziato ed emettendo un urlo raccapricciante. Il sempre più sgomento Leo si guardò intorno cercando di identificare chi fosse stato a sparare, stavolta. Non gli ci volle molto per capirlo e fu un incontro che ricordò a lungo nella sua vita.
Vide due uomini correre verso di lui: all’inizio non li aveva riconosciuti perché vestivano con abiti del suo tempo ma, man mano che si avvicinarono, Leo riuscì a capire che si trattava proprio di loro. Si, non poteva crederci ma era proprio così: i suoi salvatori erano Miles O’Brien e Julian Bashir che ora lo avevano finalmente raggiunto correndo trafelati.

“Guardiamarina Giannelli, mi fa molto piacere rivederti! Avevamo proprio temuto il peggio!” – esclamò affannato ma sorridente il capo O’Brien.
Leo rimase muto e con la bocca spalancata, incredulo a ciò che stava accadendo. Emise solo qualche balbettio cercando di razionalizzare sull’accaduto, sul fatto che fino a poco tempo prima si trovava normalmente a lavoro, pensando ai suoi amici che non avrebbe mai più potuto incontrare e… che d’un tratto invece erano di nuovo lì davanti a lui, dopo quella rocambolesca avventura.
“Leo, so cosa stai pensando ora, che tutto questo ti sembra impossibile o peggio frutto della tua immaginazione… ma devi assolutamente fidarti di noi. Non abbiamo molto tempo per parlare, ora.” – disse preoccupato il dottor Bashir mentre scuoteva il suo braccio nel tentativo di farlo reagire.
Leo ovviamente non si fece pregare e corse via con loro, rimanendo però stupito anche di un’altra cosa. Stava perfettamente capendo ciò che dicevano anche senza il traduttore linguistico. Come era possibile tutto ciò?

Mentre stavano tornando indietro lungo il corridoio d’uscita sentirono uno strano rumore dietro di loro. I tre si arrestarono bruscamente e O’Brien spianò il suo phaser all’indirizzo del rumore. Leo aveva capito che qualcun altro li stava raggiungendo.
Di scatto una delle grate di aerazione si staccò dal soffitto volando a terra con un tonfo metallico. Ne uscirono due piedi e poi subito dopo la figura di un nuovo assassino, vestito esattamente come gli altri ormai morti. Si lasciò cadere come un sacco di patate floscio, rialzandosi però quasi subito ed estraendo la sua arma contro di loro.
Allo stesso tempo s’udirono altri passi davanti ai tre, nella direzione in cui stavano fuggendo e Bashir si sbrigò a porsi di fronte a Leo, proteggendolo con il suo phaser. Un’altra figura sinistra vestita di nero si stava arrampicando lungo la banchina al lato del tunnel, ergendosi con i suoi occhi rosso fuoco e con un ghigno sul viso. I tre erano in trappola, purtroppo.

“Julian, non abbiamo via di scampo qui. Dobbiamo rischiare un teletrasporto d’emergenza.” – sentenziò il capo O’Brien all’indirizzo del dottor Bashir dietro di lui. Il medico annuì e azionò il comunicatore nascosto sotto la sua giacca.
“Hanno difficoltà ad agganciare il nostro segnale, capo!” – esclamò allarmato il dottore che cercò di rallentare l’altro assassino di fronte a sé con un colpo di phaser, che tuttavia non andò a segno. Non potevano prendere vie alternative, purtroppo: il tunnel in cui stavano scappando era stretto e non dava possibilità di sfuggire.
“Non preoccuparti, Leo. Sono lenti, forse abbiamo qualche istante ancora.” – disse Julian cercando di rassicurare il suo amico, ormai totalmente in preda al terrore. Leo si girò verso O’Brien e si accorse che l’uomo in nero di fronte a lui lo aveva ormai quasi raggiunto. L’ingegnere indietreggiò ma ciò non fu sufficiente: l’uomo ebbe il tempo di sparare un colpo di phaser contro di loro. Leo, che si trovava proprio alle spalle di O’Brien, aprì istintivamente i palmi delle mani in quell’esatto istante, pensando intensamente a respingere il raggio. Un nuovo campo di forza si materializzò di fronte a loro proteggendoli dall’impatto distruttivo del phaser.
“Che mi venga un colpo, Leo. Ma come hai fatto??” – esclamò sgomento O’Brien guardando l’ancor piu incredulo e basito Leo.
“Squadra 1, prepararsi al teletrasporto!” – si udì finalmente dal comunicatore di Bashir. Nell’arco di una manciata di secondi il raggio di energia del teletrasporto agganciò i tre uomini smaterializzandoli lentamente da quell’incubo metropolitano.
Il fuoco di due phaser scoccò dalle armi dei due uomini in nero, all’indirizzo dei loro corpi in viaggio. Fortunatamente non sortì l’effetto da loro voluto.

Si erano teletrasportati in una zona sotterranea non molto distante dal luogo della metropolitana. Julian la chiamava “base operativa 3” e tutto ciò insospettì molto Leo, che non capiva se dover essere più contento o spaventato dell’arrivo insperato dei suoi amici. Quel luogo era molto ben illuminato ed era pieno di strane apparecchiature che sembravano provenire proprio dal futuro che aveva visitato mesi prima. Per quale motivo era stata costruita e, soprattutto, perché qualcuno avrebbe voluto ucciderlo? Stanco e confuso cercò di chiedere spiegazioni al capo O’Brien.

“Leo, anche stavolta sei stato incastrato in qualcosa più grande di te... “ – disse l’ingegnere pensieroso – “…ma temo che in questo caso non potrai fuggire via come è successo la volta scorsa.”
Leo era sempre più confuso: “Ma cosa sta succedendo, capo? Come mai siete qui e cos’è questo luogo?”
Bashir intervenne cercando di spiegare all’amico: “Leo, ci troviamo in una base segreta costruita dalla Flotta Stellare del nostro futuro. Il vostro mondo è stato invaso da una forza aliena ostile che proviene anch’essa dal futuro”. Questa rivelazione lasciò senza fiato e ancor più confuso di prima il povero Leo.
Il dottore riprese: “Quegli uomini che ci hanno attaccato poco fa e che volevano ucciderti in realtà sono degli alieni che provengono dal 29° secolo, ma questo forse lo avevi capito anche da solo guardando il loro aspetto.”
“Si chiamano Na’kuhl…” – aggiunse O’Brien – “…e sono una fazione che sfrutta i viaggi nel tempo per modificare la storia di altri popoli, a loro vantaggio.”
Cosa avrebbe mai voluto questra razza aliena dal popolo terrestre dell’epoca di Leo? E in che modo lui c’entrava con loro?
Erano molti gli interrogativi che continuavano ad arrovellare la mente del povero tecnico in quel momento.

“Prima di parlare d’altro, però, mi devi spiegare come diavolo hai fatto ad attivare quel campo di forza…” – riprese O’Brien ancora sgomento dall’accaduto di prima – “…sembrava proprio uno di quegli scudi individuali che usano i Borg!”
Leo non seppe cosa dire se non un laconico: “Non ne ho la minima idea, capo… ne sono stupito almeno quanto te. Mi è bastato pensare di difendermi per attivare quel campo di forza, come se questo si fosse sprigionato dalle mie stesse mani!”
Il dottor Bashir estrasse il suo tricorder medico ed analizzò il corpo di Leo alla ricerca di risposte plausibili a quell’incredibile accaduto. Quello che scoprì lasciò senza parole anche lui oltre che i suoi due amici.
“Non posso crederci… quello che vedo non può essere vero!” – lo disse in modo tale da far preoccupare tremendamente Leo.
Poi riprese: “Durante tutte le visite che ti ho fatto su DS9 non avevo mai notato tutto questo: il tuo sangue è pieno di nanosonde Borg, che si sono fuse ai tuoi anticorpi in una stranissima mutazione genetica!”

Naturalmente Leo non aveva la minima idea di cosa fosse una nanosonda Borg e soprattutto tutto ciò che aveva provocato la loro presenza nel suo organismo. Dopo le spiegazioni di cosa si trattasse, Julian gli fece capire che probabilmente quelle nanosonde si erano generate spontaneamente come conseguenza del trasporto interdimensionale operato dai Borg ai danni dell’inconsapevole Leo. Si trattava evidentemente di una sorta di effetto collaterale che in un primo momento non si era palesato, forse per via della sindrome genetica che Leo aveva contratto dopo il trasporto stesso.
Con il ripristino della sua struttura cellulare il corpo di Leo aveva pian piano lasciato le nanosonde agire nel suo organismo, fino ad organizzarsi e adattarsi ad un’esistenza priva di collettività.
“E’ comunque molto strano…” – aggiunse il dottore sempre più interessato – “…è come se queste nanosonde siano diverse da quelle che abbiamo conosciuto in passato. Probabilmente si tratta di una variante ideata e realizzata dalla specie Borg individualista che ha tentato di attaccarci.”
Leo fu poi disteso su un lettino medico e monitorato con uno bio-scanner computerizzato.
“Ma è incredibile!” – intervenne O’Brien – “Julian, ma quelli che sto vedendo sul monitor non sono forse impianti Borg??”
Inspiegabilmente le nanosonde avevano generato nel corpo di Leo dei dispositivi cibernetici del tutto simili a quelli dei Borg, ma completamente invisibili all’esterno del suo corpo. Ecco quindi spiegata la presenza del generatore di campo di forza individuale, che aveva protetto istintivamente il corpo di Leo e quello di O’Brien.
Bashir scoprì poi che quegli impianti si erano generati solo dopo che il corpo di Leo ne aveva richiesto inconsapevolmente il loro uso. Trovandosi in una situazione di estremo pericolo di vita il sistema immunitario di Leo aveva attivato le nanosonde per difendersi da quella minaccia nel modo più consono, ovvero auto-generando gli impianti cibernetici necessari alla sua difesa. Forse è per questo che fino a quel momento l’uomo non era stato conscio di avere qualcosa di speciale dentro di sè.
Insieme al generatore di campo Bashir rilevò anche la presenza di arti inferiori cibernetici, probabilmente anch’essi auto-generati nel momento in cui Leo fuggì a gambe levate dai due agenti alieni.

Leo ebbe così la conferma che la sua alquanto sospetta resistenza alla corsa e alla fatica non era di certo dovuta soltanto al suo semplice istinto di sopravvivenza.

Chissà quali altri meraviglie quella tecnologia aliena gli avrebbe regalato in futuro: un po’ Leo ne ebbe paura ma in un certo senso se ne sentì anche profondamente gratificato. Queste sue nuove capacità sarebbero state enormemente utili ai suoi amici del futuro, anche se questo non poteva ancora immaginarlo.

In quell’istante entrò nella sala un uomo alto e vestito di una strana stoffa che appariva molto attillata ed intrecciata sul corpo, come fosse fatta di uno strano materiale tubolare solido. Si presentò come l’agente temporale Daniels, della Federazione Unita dei Pianeti del 31° secolo. Il disorientamento di Leo si fece ancora più grande: non solo aveva a che fare con persone del futuro, ma stavolta erano addirittura provenienti da due epoche diverse!
“Mi rincresce averla coinvolta in questo pasticcio signor Giannelli ma, come le stavano accennando i suoi amici, nella mia epoca è ancora in corso una Guerra Fredda Temporale che l’ha drammaticamente coinvolta… e insieme a lei è stata influenzata tutta la sua linea temporale, purtroppo.”

Leo fu stupito di quanto il suo destino fosse così denso di eventi incredibili e sempre meno comprensibili man mano che passava il tempo. Guerra Fredda Temporale? Non riusciva a capire cosa significasse e cosa c’entrasse tutto questo con lui.
Julian gli rivelò che i Na’kuhl, in un momento del loro 29° secolo, avevano già tentato un’incursione temporale della Terra del 20° secolo, per cercare di cambiare le sorti della seconda guerra mondiale, e cambiare così completamente la storia per come l’avrebbero conosciuta dopo. Fortunatamente quei tentativi furono ostacolati e miseramente resi vani dallo stesso agente Daniels. Questo fu possibile grazie alla collaborazione del capitano Jonathan Archer, un uomo leggendario che, gli venne spiegato, consentì alla stessa Federazione di costituirsi nell’ormai lontano (ma lontano solo per Julian e Miles) 22° secolo. Ciò aveva permesso alla Guerra Fredda Temporale di considerarsi ormai conclusa nella linea temporale di Daniels, e la storia del 20° secolo ritornare alla linea temporale originaria.

Daniels fu però costretto successivamente a contattare il capitano Sisko nel 24° secolo per i fatti occorsi dopo l’arrivo di Leo su Deep Space Nine. I Borg che lo avevano risucchiato erroneamente nel loro tunnel spazio-temporale avevano anche creato un paradosso temporale, cambiando la linea degli eventi in modo tale da consentire ai Na’kuhl di optare in un nuovo ritorno all’epoca di Leo. Stavano cercando di sfruttare quell’anomalia per ritentare ciò che avevano fallito precedentemente, cioè evitare di far nascere la Federazione e quindi il progresso e la prosperità che le epoche a venire avrebbero conosciuto.
Era però necessario eliminare anche Leo per far si che quella linea temporale deviata si rendesse stabile e definitiva.

“Capisco che questi intrecci temporali siano complicati da capire e spesso è difficile anche per noi comprenderli fino in fondo.” – riprese Bashir vedendo che lo sguardo di Leo era ancora poco convinto – “Il tempo non è lineare, Leo… gli eventi del passato possono avere ripercussioni a volte incomprensibili o impreviste nel futuro.”
Leo iniziava lentamente a capire, tuttavia il suo povero e confuso cervello stava ancora vagando in una miriade di concetti astrusi sulla relatività spazio-temporale, cercando di trovare un vago significato al tutto. Per dire la verità non gli era ancora affatto chiaro in cosa consistesse e quando mai si fosse verificata questa fantomatica invasione dei Na’kuhl.
Il suo mondo era sì pieno di problemi e contraddizioni, ma possibile che una razza aliena, seppur avanzata e senza scrupoli, avesse potuto mettere in opera una vera e propria invasione senza che nessuno se ne accorgesse?
Certo, il 21° secolo agli occhi dei Na’kuhl era sicuramente arretrato e tecnologicamente impreparato, ma si sarebbe senz’altro compattato e opposto con tutte le sue esigue forze ad una potenza aliena che lo avesse invaso… o almeno avrebbe tentato di farlo in qualche modo. Tra i mille problemi che assillavano l’epoca di Leo non c’erano certo le invasioni aliene… o almeno questo era ciò che Leo aveva sempre creduto e con lui la gran parte delle persone del suo pianeta.

Daniels, che forse aveva intuito ciò che stava pensando Leo, gli spiegò che lo stile dei Na’kuhl non era certo quello dei classici invasori che i terrestri dell’epoca di Leo potevano immaginare e che erano radicati nel loro immaginario collettivo grazie alla letteratura e alla cinematografia. Insomma, nessuna enorme nave spaziale ad oscurare il cielo che distrugga palazzi e strade, o magari orde di alieni nerboruti e armati fino ai denti che fanno strage di ignari passanti.
“Quella è roba da klingon o da cardassiani…” – ridacchiò sotto i baffi O’Brien, richiamando gli sguardi seri e severi degli altri.

La capacità di resistenza e di adattamento degli uomini a minacce di questo tipo era cosa nota e radicata nei terrestri già molto prima del 21° secolo. Gli uomini non si sarebbero certo arresi facilmente ad un’invasione di questo tipo: anzi, una minaccia così soverchiante li avrebbe finalmente e paradossalmente aiutati ad unirsi contro il loro nemico comune, sortendo l’effetto opposto a quello voluto dai loro invasori. Le forze dei Na’kuhl, tra l’altro, non erano certo così numerose come quelle terrestri e, benchè militarmente così avanzati, avrebbero rischiato molte perdite e forse anche una rapida sconfitta.
Discorso diverso invece se quegli stessi uomini non avessero saputo nulla della minaccia che stava incombendo sulle loro esistenze. I Na’kuhl avevano preferito procedere come già fatto nella loro incursione nel 20° secolo, ma stavolta in modo ancor più sottile e subdolo. Avevano capito che la debolezza maggiore dell’uomo è la sua avidità e la sua sete di potere. Erano quindi giunti nel 21° secolo circa 30 anni prima dell’epoca in cui si svolsero i fatti che coinvolsero Leo, in modo da avere più tempo di agire o semplicemente per un errore del loro portale temporale (ciò non era ancora noto).
Agirono corrompendo i potenti e i governanti della Terra, promettendo loro ancor più potere e ricchezze grazie ad un lento rilascio di informazioni sulla loro tecnologia avanzata. Naturalmente agirono in modo simile con entrambe le superpotenze dell’epoca, USA e URSS, contribuendo a mantenere vivi i blocchi politici e militari antagonisti che stavano lentamente sgretolandosi prima del loro arrivo. Le idee alla base di Solidarnosc, del crollo del muro di Berlino e della nascita di un’Europa comune furono presto offuscate e deviate nelle logiche perverse del mercato comune europeo prima, e dell’Unione Europea declinata in sola chiave economica e finanziaria poi. Gli ideali di pace, unità e fratellanza che erano nati faticosamente al termine del secondo conflitto mondiale, lasciarono ben presto spazio a quelli della prevaricazione, del profitto selvaggio e dell’arricchimento senza scrupoli. La finanza e le banche furono il loro lento e inesorabile strumento di divisione, una divisione che era mascherata da unità e da mille bellissimi slogan fatti di plastica e di informazione deviata.
Le guerre e i conflitti, insieme ai mezzi di informazione pilotati riuscirono a narcotizzare e a distrarre le coscienze da ciò che stava avvenendo e che lentamente aveva portato alla situazione attuale nel mondo.
Continuando così la Terra non avrebbe mai raggiunto la sua unità ma solo una realtà che avrebbe portato i pochi ricchi e potenti a dominare masse infinite di poveri sempre più poveri e, per questo, sempre più onnubilati dall’ignoranza. Tutto ciò fino all’inevitabile conflitto finale… di certo questo non innescato dai Na’kuhl ma dagli stessi terrestri che, stritolati da decenni di privazioni e di soprusi, si sarebbero rivoltati contro i loro potenti e autodistrutti con le loro stesse mani. Tutto ciò senza colpo ferire agli astuti alieni invasori, che si sarebbero limitati ad aver pazienza e ad osservare compiaciuti le loro trame e i loro orditi di morte. Strategia facile e indolore.

Leo rimase senza parole e impotente alle spiegazioni date da Daniels, ma qualcosa dentro di sé gli diceva che l’uomo aveva ragione. Quelle domande che spesso si poneva sui destini della sua martoriata Terra ora avevano una risposta chiara.
“Gruppo Bilderberg, Nuovo Ordine Mondiale, massonerie deviate… quindi è tutto collegato ai Na’kuhl?” – chiese sconvolto il povero Leo, che in cuor suo aveva sempre sospettato che lo fossero per qualche perverso motivo.
“Non è così semplice, Giannelli… diciamo che sono stati strumenti asserviti allo scopo degli invasori dopo il loro arrivo, ma non posso rivelare di più per preservare la linea temporale che stiamo cercando di ripristinare”

Leo comprese la vaghezza dell’agente ma continuò a rimanere con mille dubbi e domande aperte dentro di sé.
“D’accordo, ma tornando a me… perché dovermi uccidere proprio ora? Se è vero che questi invasori sono arrivati già da oltre 30 anni avrebbero potuto eliminarmi facilmente già da allora, quando ero ancora un bimbo.”
L’agente Daniels gli rispose, comprensivo: “Se avessero tentato di ucciderla prima dei fatti di DS9 nulla di ciò che stiamo vivendo sarebbe mai accaduto, perché la sua assenza non avrebbe mai consentito al paradosso temporale di avvenire. Era indispensabile che la uccidessero solo dopo il suo ritorno dal 24° secolo.”
“Fai come me, Leo: non ci pensare troppo. Altrimenti rischi di impazzire.” – intervenì ironicamente O’Brien cercando di abbozzare un sorriso, poi riprendendo – “E poi non fare quella faccia, coraggio… se siamo qui non tutto è perduto!”

Gli spiegò che la Federazione del 24° secolo, a seguito dell’appello richiesto da Daniels, si era mobilitata tornando anch’essa indietro nel tempo e costruendo lentamente una resistenza e delle basi segrete come quella in cui si trovavano in quel momento. Erano stati sufficienti quei pochi mesi dopo il ritorno di Leo nella sua epoca, per iniziare a costruire alcune contromisure e ideare dei piani in risposta alla strategia d’invasione dei Na’kuhl. Di certo non sarebbe stato un compito semplice né veloce, visto che non era stato loro possibile tornare indietro nell’esatto momento in cui gli invasori arrivarono nel secolo di Leo. Ma ora, grazie anche al fatto di aver recuperato il loro amico sano e salvo, sarebbe stato possibile in qualche modo anche cambiare quella linea temporale.

“Non saremo soli nella battaglia, Leo. Abbiamo preso contatto con alcune realtà di contestazione allo status-quo e li stiamo aiutando a reagire, in modo da cercare di controbilanciare l’influenza dei Na’kuhl sui poteri forti dell’economia e della politica.” – disse compiaciuto O’Brien, che aveva personalmente guidato in quegli ultimi tempi i contatti con i gruppi spontanei Anonymous e ‘Occupy Wall Street’.
“Sappiamo benissimo che non sarà un compito semplice ricacciarli indietro nel loro tempo, Leo.” – aggiunse preoccupato il dottor Bashir, quasi intuendo i pensieri di Leo – “La nostra sola tecnologia e i nostri attacchi mirati non saranno sufficienti allo scopo. Dovremo rispondere alla loro strategia allo stesso modo, con una rivoluzione dal basso, che coinvolga le masse popolari e non solo le armi. La nostra sfida più grande sarà proprio quella di far risvegliare la gente dal suo torpore, sperando che si ribelli finchè ha ancora il potere e la forza di farlo.”

Leo sapeva bene quanto fosse difficile mobilitare le coscienze e farle reagire, specie poi nella sua società e in quella particolare situazione politica ed economica in cui viveva, dove molti non erano ancora nemmeno consci di ciò che stava avvenendo. Per la gente del 21° secolo poi era di certo più facile accettare soprusi passivamente, se questi portavano ancora qualche vantaggio per sé o per la propria piccola consorteria. Era questa l’umanità a cui Leo era abituato e non certo quella delle società in cui Julian o Miles vivevano… non parliamo poi di quella di Daniels, ancor più lontana nel tempo.
Sebbene sentisse dentro di sé e sempre più forte l’indignazione e il desiderio di reagire, il suo grande iterrogativo era cosa mai avrebbe potuto fare lui, un semplice uomo comune con una vita altrettanto semplice, fatta di piccole cose, della sua famiglia, del suo lavoro ordinario. Una dimensione di vita di certo non avvezza ad alti ideali e a missioni eroiche.
Sconsolato alla luce di quelle rivelazioni, fu d’improvviso fiondato dal suo raziocinio indietro alla sua inevitabile realtà: “Mi spiace, so quanto sia importante ciò che state facendo ma io non appartengo a questa lotta, ho delle responsabilità innanzitutto verso la mia famiglia. Non posso abbandonarli per i miei ideali, benchè io lo vorrei, specie dopo ciò che mi avete raccontato…”

Vide la figura silenziosa di Julian porsi di fronte a lui, con gli occhi tristi di chi stava per dare una terribile notizia:
“Leo, devi essere forte. I Na’kuhl non hanno tentato di uccidere solo te… anche la tua famiglia è entrata nel loro mirino” – gli teneva strette le braccia con le mani, come per farlo reagire all’inevitabile dolore.
Miles, che era rimasto in disparte gli girò le spalle per cercare di non far trasparire il suo profondo dispiacere: “Abbiamo cercato in ogni modo di fermarli, Leo… ma ci siamo accorti dei loro piani troppo tardi!”
Gli occhi di Leo si riempirono di lacrime ma cercò di rimanere calmo e in silenzio. Ormai la sua esistenza di prima non gli apparteneva più e non avrebbe più potuto tornare indietro… e non solo perché avrebbe rischiato la vita nel farlo. Mai come in quel momento si era sentito sicuro e determinato a far pagare a quei maledetti i loro misfatti, per ciò che avevano fatto a lui e al mondo intero.

“Sono con voi, se mi volete.” – disse con la voce rotta dalle lacrime Leo, serrando i pugni.
“Lei è una parte fondamentale del puzzle, guardiamarina Giannelli.” – disse calmo Daniels.


-*-*-


Le figure dei tre uomini si confondevano nell’oscurità morente.
Si muovevano veloci lungo il complesso industriale, fermandosi e nascondendosi di tanto in tanto, per controllare che non ci fosse nessuno a seguirli. L’illuminazione era scarsa ma dovevano fare in fretta: il chiarore dell’alba stava per irrompere e il loro breve tempo, come l’oscurità della notte, stava per terminare.
“Capo, dove si trova il centro di controllo?” – sussurrò uno dei tre, affaticato dal fiatone per la lunga corsa.
Un flebile trillo di tricorder e poi una voce, calma: “Dovremmo essere vicini… è laggiù!”
Una nuova, forsennata corsa verso l’ingresso di un edificio basso e scarsamente illuminato. Fu semplice identificare l’ingresso laterale, mentre sapevano bene che quello principale era sorvegliato da telecamere.
Quella porta era sbarrata e saldata da anni ma fu semplice aggirare l’ostacolo con un phaser a bassa intensità e a fascio concentrato, che agì velocemente come un diamante su un vetro, ritagliando una nuova apertura circolare.
Con circospezione si diressero verso il centro scientifico di controllo: sapevano che quel corridoio non era stato monitorato ma avrebbero dovuto superare una porta blindata: cosa meno semplice da fare con un phaser standard.

Un rumore… qualcosa non era andato come previsto. Avevano messo qualcuno a guardia della porta blindata!
I tre si nascosero alla meglio: per fortuna non erano stati identificati.
Aspettarono il momento giusto, quando la guardia dava loro le spalle. Uno dei tre uscì dal suo nascondiglio e, con un balzo felino, piombò sulla guardia tenendogli chiusa la bocca. Con l’altra mano gli iniettò alla base del collo un hypospray carico di potente anestetico. Il malcapitato cadde riverso al suolo nel giro di pochi millesimi di secondo.
“Bel lavoro, Julian…” – bisbigliò uno dei tre, con sollievo. Nel frattempo erano velocemente accorsi di fronte alla porta blindata. Questa era protetta da un complicato pannello di comando, con dispositivi molto sofisticati di riconoscimento con impronta digitale e retinica.

Uno dei tre uomini tolse il guanto nero che gli proteggeva la mano e strinse il pugno, lasciando fuoriuscire due piccoli tentacoli metallici dalla base delle sue dita. Questi si allungarono velocemente verso le feritoie dati del pannello di comando, innestandosi saldamente in esso. Dopo qualche istante il display luminoso sul pannello confermò l’accesso ai tre uomini e la porta blindata si aprì di scatto. A quell’ora non ci sarebbe stato nessuno a disturbarli, almeno per un po’.
La sala era piena di computer e di schermi giganti che monitoravano in tempo reale infinità di dati e, probabilmente, l’attività di ogni satellite geostazionario in orbita sul pianeta.
L’uomo che aveva aperto la porta blindata si sedette su una delle postazioni e innestò nuovamente i suoi tentacoli nelle porte dati di uno dei computer. I suoi occhi caddero come in trance: probabilmente stava accedendo alle informazioni dei database del sistema. Dopo un lungo istante ritornò in sé e sorrise.
“E’ fatta… ho avuto accesso ad Echelon. Abbiamo i protocolli di sicurezza.” – disse soddisfatto agli altri due.
“Ottimo lavoro, Leo!” – si lasciò scappare uno dei due, mentre l’altro gli scosse vigorosamente le spalle giubilando con lui in silenzio.


Poche ore più tardi tutte le emittenti TV, cavo e satellite del pianeta interruppero la loro normale programmazione.
Ogni apparecchio televisivo del mondo venne acceso e sintonizzato su una trasmissione video pirata che non potè essere interrotta fino alla sua normale conclusione. Molte emittenti, essendo state indotte a farlo, spensero i loro trasmettitori ma, inspiegabilmente, gli apparecchi televisivi continuarono a trasmettere il messaggio ugualmente.
Allo stesso modo ogni indirizzo internet venne dirottato verso il video del messaggio, in qualunque parte del mondo si fosse acceduto alla rete. Sullo schermo di ogni TV e di ogni computer apparve la figura rassicurante di un uomo di razza nera, calvo e con grandi occhi colmi di umanità. Qualcuno disse che si chiamava Sisko.

“Buongiorno, pianeta Terra. Mi spiace aver interrotto le vostre vite tranquille, normalmente non approvo questi metodi ma tutto questo è stato necessario affinchè voi capiste cosa sta succedendo.
Alcuni tenteranno di non farci continuare, immagino che molti in questo momento cercheranno di interrompere queste mie parole. Il perché è semplice: le parole, il dialogo, aiutano a raggiungere la consapevolezza, il significato delle cose. Chi vi guida, oggi, sta cercando di nascondervi la verità e quindi noi, qui, da oggi abbiamo deciso di restituirvi questo potere. Il potere della conoscenza.
La nostra speranza è che l’equità, la giustizia, la pace, la libertà non rimangano solo parole ma si trasformino in prospettive. La speranza è che questo sia solo l’inizio di qualcosa che cambierà la nostra realtà, con e soprattutto grazie al vostro impegno. ”

Quello fu solo il primo di una lunga serie di messaggi.
Le parole di quell’uomo rimasero nelle menti e nei cuori di ogni persona del pianeta e – da lì in avanti – lo sarebbero state per lungo tempo, lasciando un segno indelebile nelle coscienze.
Fino ad una nuova, inevitabile realtà.
view post Posted: 1/12/2013, 23:37 Mossa a sorpresa, di Franca Marsala - Gli amici della Writers Trek
MOSSA A SORPRESA - di Franca Marsala

Nulla sarebbe stato più come prima. Lorenzo lo pensò quella mattina scrutando il cielo sopra casa sua. Era uscito dal palazzo e ora stava in mezzo alla strada, insieme alla maggior parte degli abitanti della città, a chiedersi se non fosse finito in un racconto di G. H. Wells.
Gli alieni erano giunti sulla Terra. Le loro grandi navi, che però non erano a disco, come si pensa comunemente, ma a forma esagonale, sostavano sulla penisola italiana. Erano solo un paio, talmente vaste di diametro, che bastavano a coprire l’intera nazione.
Il panico era dilagato, come era ovvio. Molti avevano cercato di scappare in altre nazioni, tra cui la Svizzera, ma parecchi erano rimasti. Con ostinazione, si rifiutavano di abbandonare le loro case, i loro beni per degli invasori. Ad alcuni erano venuti in mente gli alieni dei Visitor, ad altri Alien, ad altri ancora i vulcaniani. E questa sarebbe la situazione migliore, si disse Lorenzo.
Si avviò verso il centro. I nuovi arrivati non avevano ancora dato segno di voler parlare con loro, non c’erano stati comunicati, proclami, discorsi. Niente che facesse supporre che le astronavi fossero abitate.
Dei ragazzi che correvano gli tagliarono la strada. Erano contenti, gridavano di gioia. Qualcuno era felice di questo arrivo, forse sperava che fossero venuti per salvarci.
Il governo stava intanto decidendo come comportarsi, quale atteggiamento assumere. Avevano provato a comunicare con codici inviati nello spazio, persino con il codice morse; non avevano ottenuto risposte. O non volevano parlare con gli italiani o non capivano i messaggi.
Si era in una fase di stallo. Si era azzardata anche l’ipotesi di attaccarli, subito scartata: difendersi sì, ma non si poteva dichiarare loro guerra a priori. Potevano essere pacifici.
Lorenzo si accorse che stava facendo buio. Alzò gli occhi e si accorse di essere sotto l’esagono, l’ombra copriva una vasta area e lui era proprio al centro. Si fermò indeciso sul da farsi.
Non aveva finito di formulare il pensiero, che qualcosa lo colpì e lo tramortì. Il suolo gli venne incontro, e fu lo scuro totale.

Lorenzo era in una stanzetta spoglia seduto su un giaciglio duro come la pietra. Si guardò intorno, non c’erano sbarre all’ingresso, nulla che potesse ostacolare una sua eventuale fuga, ma non era un ingenuo. Se non si vedevano era perché non erano necessarie. Sicuramente qualcosa impediva di uscire da lì e lui non voleva, e non poteva, rischiare di farsi male per tentare.
Un essere incappucciato gli si parò davanti. Era alto e magro. Indossava un ampio mantello che lo copriva interamente. Lorenzo voleva osservarlo in viso, ma l’alieno si spostò per impedirglielo. Lo fissò a lungo, poi si decise e lentamente fece scivolare dalla testa il cappuccio. Lorenzo rimase un attimo immobile davanti a quella visione. Davanti a lui aveva un rettile, non poteva definirlo altrimenti, un rettile umanoide, ma pur sempre un rettile.
Ne arrivarono altri tre. Il primo alieno toccò un congegno che aveva in mano e i quattro raggiunsero Lorenzo in cella. Senza parlare, e senza molti complimenti, lo prelevarono di peso e lo portarono in un’altra camera più ampia, ma altrettanto spoglia.
Lo misero su un lettino. Lorenzo provò a muoversi, ma si sentiva come fosse inchiodato. Non era legato, doveva esserci un congegno invisibile che lo bloccava.
Girò la testa e perlustrò con gli occhi i dintorni. Tranne il lettino, c’era solo, addossato a una parete, un macchinario pieno di lucine e bottoni.
I quattro alieni non lo sfiorarono neppure, si limitarono a passargli sul corpo degli strumenti conici, che emettevano un basso sibilo. Comprese subito che non veniva dagli strumenti, ma da quegli esseri.
Lorenzo non poteva scostarsi, né far nulla per difendersi. Era una terribile sensazione sentirsi impotenti. Per un millesimo di secondo, si rammaricò che gli italiani non avessero distrutto gli invasori.
Quello che lui credeva fosse il capo, aveva un atteggiamento marziale, e con pochi movimenti, indicava agli altri cosa fare, gli si accostò. Lorenzo temette volesse ucciderlo. Invece l’alieno spinse un pulsante nel marchingegno che aveva in mano e lui si accorse di essere libero.
Fece il tentativo di sollevarsi, non glielo impedirono.
Si mise seduto e continuò a guardarli muoversi intorno. Non udiva le loro voci, ma immaginò che comunicassero con quel sibilo. Erano come serpenti, realizzò, dei serpenti con arti superiori e inferiori.
Parlottarono tra loro tanto tempo. Il capo poi fece un cenno. Lorenzo fu prelevato per essere ributtato in cella. Si domandò se ormai non fosse tutto perduto. L’avevano esaminato, quindi ora avevano scoperto quello che c’era da scoprire. Ormai potevano solo fare due cose: o ammazzarlo o liberarlo. La seconda ipotesi gli sembrava quella meno probabile. Perciò doveva darsi da fare.
Con una mossa a sorpresa, si liberò dalle zampe degli aggressori e con forza li gettò l’uno contro l’altro. Fuggì a una velocità tale che sperava non potessero tenergli testa.
Sapeva dove andare: al cuore della nave.
Si diresse alle sale del teletrasporto. Si infilò nella prima che trovò, con un colpo ben assestato si liberò dell’addetto alla console, e si fece scomporre in milioni di atomi.

- Lei ha fatto un ottimo lavoro, comandante.
- Grazie, signore. Non volevo mettere in pericolo le loro vite, né perdere la mia. Quando mi sono teletrasportato nella loro sala macchine, ho dovuto tramortire tanti di loro, che mi impedivano di arrivare al nucleo di curvatura. Sono riuscito a manometterlo, ma senza farlo esplodere immediatamente.
- Gli Xindi della nave che lei è riuscito a danneggiare, sono stati teletrasportati su un altro mezzo. Non hanno avuto perdite, solo la loro astronave. Mi sembra un prezzo basso da pagare in una situazione come quella in cui si erano messi.
- Mi hanno esaminato, signore, e a quel punto dovevo agire. Avevano capito chi ero.
- I suoi colleghi hanno fatto lo stesso, e con altrettanti ottimi risultati. Le navi Xindi hanno lasciato l’orbita terrestre. Possiamo dire che la crisi è terminata.
- E senza spargimento di sangue.
- Giusto, comandante. La cosa migliore.
- Signore, per una frazione di millesimo di secondo ho pensato che dovevano essere eliminati.
- Non mi pare una colpa così grave, comandante.
- Per me è tanto tanto tempo, capitano.
Il capitano sorrise.
I due si congedarono.
Lorenzo si rifugiò nel suo alloggio. Si sedette a riflettere.
Sconfiggere il nemico non era stato così complicato, ma solo perché gli Xindi non erano a conoscenza del piccolo segreto della Federazione: i viaggi nel tempo.
Lui e i suoi simili erano stati inviati nel passato della Terra, per scongiurare quella che era stata una catastrofe per l’umanità, tanto da far decidere l’altro consiglio terrestre a mettere da parte la prima direttiva pur di salvare milioni di innocenti.
Loro erano destinati a farsi rapire dagli alieni e a colpirli dall’interno. Grazie all’addestramento e alle loro capacità fuori dal comune.
Lorenzo andò a cambiarsi, voleva indossare di nuovo l’uniforme e liberarsi degli abiti civili, e antiquati, che portava da ormai da troppo.
Nudo davanti allo specchio, ricordò che prima di vestirsi doveva ancora fare l’ultima cosa. Con un gesto rapido, sollevò una parte di pelle del suo braccio, lasciando allo scoperto i suoi circuiti interni. Prelevò il piccolo phaser che aveva nascosto lì e lo posò sulla mensola dell’armadio.
Dopo richiuse lo scomparto sul suo corpo, e cominciò a riprendere i suoi abituali panni di ufficiale della flotta stellare.
view post Posted: 1/12/2013, 23:34 Invasori giganti, di Marco Gaiani - Gli amici della Writers Trek
INVASORI GIGANTI - di Marco Gaiani

Erano arrivati alcuni mesi prima.
Per molto tempo, anzi da sempre, il pianeta era stato libero e i suoi abitanti vivevano e progredivano non senza problemi certo, ma in maniera naturale.
I Sole gli “ruotava attorno”, nell'arco delle 24 ore, gli forniva gran parte dell'energia che serviva al perfetto equilibrio di tutte le creature viventi.
La Luna che splendeva di notte, nelle sue varie fasi, era sempre bella da vedere e anch'essa contribuiva all'equilibro del pianeta.
Niente nel corso dei secoli aveva preparato i suoi abitanti, ad una vera e propria invasione aliena.

Con le loro gigantesche macchine erano arrivati dal cielo.
E non meno enormi erano i suoi accupanti.
Esseri giganti che a centinaia erano scesi sulla superficie del pianeta, con le loro strane macchine.
All'inizio erano stati fatti tentativi di comunicare, ma le creature non sembravano capire e incuranti di ciò, avevano iniziato a distruggere la superficie del pianeta.
La terra aveva iniziato a cambiare colore, anche i mari e il cielo non era più lo stesso.
Molti erano scomparsi nel tentativo di fermarli.
La distruzione era ovunque ormai.

Per quanto fosse impossibile contrastare gli enormi invasori, tutto venne tentato per cercare di fermali e al contempo di salvare quanti più possibile.
Ma troppa era la disparità con gli alieni, che fosse la fine della razza ?
Ma nonostante ciò, c'era ancora chi continuava a tentare di comunicare con essi.
Passaro settimane e le creature aliene avevano ormai il controllo del pianeta.
La fine della razza era ormai ad un passo.

Ma dove il tentativo di fermare gli alieni non aveva funzionato, il tentativo invece di comunicare con essi, poteva rappresentare l'ultima speranza.
Forse si era iniziato a comprendere il linguaggio degli alieni.
Un'ultimo disperato tentativo sarebbe stato fatto.
Era stata individuata una base aliena in cui poter penetrare, sarebbe stato più facile.
Lì, qualche giorno prima era arrivato uno degli alieni giganti, che sebbene dall'aspetto simile ad essi era anche diverso.
Con lui, forse, ci sarebbe stata una possibilità di comunicare.

Arrivò il momento più opportuno e un piccolo gruppo era stato scelto per entrare nella base.
Colui che aveva scoperto il modo di comunicare, doveva essere protetto ad ogni costo ! per poter tentare di comunicare con l'alieno dalla pelle bianca.
E fù così, solo lui riuscì a raggiungerlo.
Sebbene ferito e triste per il sacrificio dei suoi compagni che gli avevano permesso di giungere fin lì, egli si parò davanti alla creatura gigantesca e tentò di farsi vedere e comunicare, ultima speranza del suo popolo.

Un miracolo avvenne quel giorno, perchè ci riuscì !
La gigantesca creatura dalla pelle bianca, con strani movimenti a sinistra e destra della testa, comprese i segnali luminosi e le frequenze emesse per comunicare con lui e lo vide.
Sebbene non potesse provare emozioni, anche per lui fù un momento “emozionante”.
I suoi circuiti impegarono solo pochi secondi per comprendere i linguaggio di “colui” che gli stava difronte.
Perchè se anche ai suoi occhi poteva sembrare solo un piccola roccia cristallina dalla strana forma, era invece chiaramente una forma di vita !
>Mi chiamo Data..< gli rispose, usando le sue stesse frequenze, cosa che solo un androide avrebbe potuto fare.
Poi attese..
>..capisco. Ci dispiace molto.
Interromperemo immediatamente la terraformazione del vostro pianeta< gli rispose Data.

Ce l'aveva fatta !
Lo strano alieno dalla pelle bianca per quanto enorme alla sua vista, lo aveva visto e compreso.
Il sacrificio dei suoi amici non era stato vano..
Gioia e tristezza si mescolarono insieme.

Il giorno dopo, Data era tornato a parlargli, perchè solo lui poteva.
Gli aveva spiegato che loro, gli umani, non avevano intenzioni ostili o di arrecare danno e creare così tanta distruzione sul pianeta.

Per quanto i loro strumenti fossero potenti, non avevano potuto rilevare la presenza di una forma di vita così straordinaria e diversa da tutto ciò che conoscevano.
Immediatamente avevano interrotto tutte le operazioni sul pianeta e se ne sarebbero andati cercando di non arrecare altri danni.

Gli umani avrebbero fatto tutto ciò che potevano per rimediare ai danni causati, spiegò Data.
L'essere cristallino comprese e non provò odio verso quelle creature così enormi.
Data avrebbe sorriso se avesse potuto.
Poi il raggio teletrasporto lo portò via.
view post Posted: 14/11/2013, 12:24 Classifica Parziale - Prima Settimana - Lv. 24 - Archivio Pubblico
Credo che il perchè del fatto che molti non hanno dato la serie di provenienza della seconda immagine di tipologia 2 sia il fatto che, nel post in cui riepilogavi le informazioni da fornire, mancava appunto la richiesta a quale serie si riferisse... :)

CITAZIONE
[...] Per la prima immagine classe di nave stellare, nome e serie; per la seconda immagine voglio sapere il nome del pianeta e per la terza ed ultima immagine il nome dello strumento che il dottore sta usando. Buona fortuna!
view post Posted: 14/10/2013, 14:12 Una nuova TV serie Trek sempre più vicina? - Star Trek - Serie Tv e Movies
Quoto al 100% ciò che hai scritto al termine del post... le tue speranze sono anche le mie...
view post Posted: 11/10/2013, 22:51 Visual Quiz - Star Trek Edition - Lv. 24 - Archivio Pubblico
Non posso certo lasciare il primo ufficiale medico da sola ad affrontare il pericolo. Franca, l'ufficiale scientifico ti raggiunge per darti man forte.

Nickname: dmin72
Hai capito le regole? Credo di cavarmela
Domande? No
view post Posted: 9/9/2013, 17:13 Stargate: il reboot. - Stargate Reboot
Buonasera, ragazzi.

So che non sono del tutto titolato ad esprimere opinioni in merito al reboot di SG essendo un appassionato di Star Trek ma, alla luce di quanto è avvenuto con Abrams, ho una mia opinione su questi esperimenti.

Il reboot tentato da Abrams con gli stessi personaggi della serie classica di ST non ha comportato per tutti un giovamento... i fan di ST si sono spaccati tra chi pensa, come espresso da voi, che la nuova reinterpretazione della saga abbia allargato la sua conoscenza in un bacino più ampio di persone e chi, come me, pensa invece che la nuova declinazione dei personaggi e della filosofia Trek in generale sia stata aberrata e del tutto trasformata rispetto a quanto amavamo della serie. E' stata inserita più azione, più combattimenti e i personaggi sono stati sconvolti caratterialmente (cosa che fa arrabbiare moltissimi, me compreso).
Certo, non tutti vi riporteranno la stessa campana ma sta di fatto che, a mio giudizio, ora Star Trek significa per qualcuno anche solo azione, combattimenti ed effetti speciali (una sorta di SW evoluto) e non come prima una fantascienza matura, attenta ai temi sociali e all'amore per l'esplorazione spaziale.

Tutto questo per dire che in fondo potrebbe non essere così negativo pensare a un reboot completo, senza artifici e reinterpretazioni di quanto raccontato precedentemente, che resterebbe comunque valido (almeno me lo auguro).

Non sapevo comunque che Emmerich considerasse così male il lavoro fatto con le serie TV di SG: questo in effetti potrebbe essere una minaccia (un po' come è successo con Abrams che, anche lui, dichiarò quasi subito di non amare e non conososcere nulla di ST).
Spero però che, essendo lui stato se vogliamo il padre nobile della saga di SG, si sforzi almeno di mantenere viva la continuity con il passato (o almeno solo in parte). Voglio essere ottimista, visto che anche io ho amato il film e, per quel poco che ho visto, anche SG-1.

:)
view post Posted: 25/8/2013, 17:33 La fine di un odio, di Marco Gaiani (racconto extra) - Gli amici della Writers Trek
LA FINE DI UN ODIO - di Marco Gaiani (racconto extra)

Il segnale di soccorso era giunto da un pianeta di classe M conosciuto, ma in una zona di spazio poco esplorata.
I sensori dell'Enterprise D per poco avevano captato il segnale con la richiesta d'aiuto.
Picard per quanto la sua missione fosse importante, non poteva non intervenire e aveva dato ordine di raggiungere il pianeta.
La deviazione avere richiesto circa tre ore di viaggio a curvatura 7.
Data avevo dato alcune notizie sul pianeta che stavano per raggiungere.
Era l'unico abitato di quella zona di spazio.
Le notizie erano poche, si sapeva solo che era abitato da due razze umanoidi che differivano tra loro per un curioso particolare.
Non avevano particolarità tecnologiche e il loro mondo era fiorente e molto bello.

Ma quando l'Enterprise D arrivò, non trovò un mondo fiorente e bello, ma solo macerie e distruzione.
Worf sondò la superficie e disse quello che era comunque evidente.
Una qualche forma di guerra mondiale aveva distrutto ogni cosa sul pianeta.
Il segnale automatico di emergenza, proveniva da quel che restava di una popolosa città, altro non c'era.
Ma proprio quando Picard stava per dare l'ordine di abbandonare il pianeta, da Data e Wesley Crusher arrivò una notizia.

I sensori avevano rilevato la presenza di due forme di vita, le uniche due dell'intero pianeta.
Dopo alcune analisi, il Capitano aveva deciso di farle teletrasportare a bordo.
Quando O'Brien attivò il teletrasporto, Worf era pronto a riceverli, ma non si aspettava questo.
Quando le due forme umanoidi si materializzarono sulla pedana 6, le due creature stavano lottando !

Incredibilmente continuarono la lotta anche dopo il teletrasporto, incuranti della nuova loro posizione
e della presenza di altre forme di vita.
Solo alcuni colpi di pasher di stordimento, riuscirono a mettere fine alla lotta.

Mezz'ora dopo Picard era in infermeria e Beverly Crusher, il medico di bordo, lo stava aggiornando sulla situazione.
I due pazienti erano in camere diverse, perchè non si potessero vedere, ma il Capitano notò subito la strana fisiologia dei due ospiti.
>Quindi questo è il loro aspetto..< stava dicendo.
>C'è una reale differenza tra i due o che altro ?< chiese.
Beverly che stava tenendo sedati i due ospiti, per poterli curare meglio da stanchezza, malnutrizione
e altre cose derivanti dalla loro permanenza su un pianeta distrutto, rispose.
>No, Capitano.
Questa loro particolare colorazione non comporta nessuna differenza fisiologica.
Lui..< indicando il paziente disteso sul letto davanti a loro, >..ha esattamente metà corpo nero sulla parte destra e bianco sulla sinistra.
L'altro paziente viceversa, bianco sulla parte destra e nero sulla sinistra.

Ma la cosa più strana è la loro conformazione fisica.
Per quanto siano umanoidi un po simili a noi, non hanno organi interni, in pratica sembra che tutto
il loro corpo sia “pieno” e tutto funge da assimilatore di cibo, bevande ecc.

Ancora non riesco a visualizzare bene l'interno del loro corpo, è.. complicato.< disse la Dottoressa.
>Ma ora come stanno ?< chiese Picard, >..perchè vorrei parlaraci al più presto.
>Direi che i pazienti rispondono bene alle cure, ma come dicevo mi ci vorrà tempo per comprenderli meglio.

Torni fra un'ora Capitano e vedremo..<.

L'ora passò e Picard puntualissimo arrivò in infermeria.
Trovò Beverly e uno dei due pazienti, già in piedi accanto al letto.
Si avvicinò a loro.
>Come vede Capitano, Thau qui, stà già molto meglio è incredibile la loro visiologia..< aveva iniziato la Dottoressa.
>Thau, ti presento il nostro Capitano, Jean-Luc Picard.<.
Thau porse la mano con un sorriso gentile.
>Piacere di conoscerla Capitano.
La gentile Dottoressa Beverly mi ha spiegato un po cosa ci è successo e cosa avete fatto per noi.
Mi dispiace che ci abbiate visto lottare, ma Thua non è ragionevole come lo sono io, lo capirà presto Capitano.

Comunque, grazie per averci salvato..<.
Picard lo osserò per alcuni istanti prima di rispondere.
>Sono felice di vedere che sta bene.
Quando la Dottoressa lo permetterà, vorrei che venisse nella sala tattica.

Vorrei sapere cosa ha causato la distruzione del vostro mondo e come voi due avete fatto a sopravvivere.
Nel frattempo ho dato ordine di portare la Nave nella più vicina Base Spaziale.

Ora ci stiamo dirigendo verso Vener 17, dove sarete fatti sbarcare.
Lì si addestrano uomini e donne della sicurezza, quelli
che vede con le Magliette Rosse girare per la Nave.

Potrete comunque ricevere migliori cure mediche e la mia Nave potrà riprendere la sua missione.<.
Thau sempre in modo gentile, piegò lentamente la testa in segno di ringraziamento.
>Grazie Capitano per tutto l'aiuto che ci da.
Ma se posso darle un consiglio, non aiuti troppo Thua, lui e quelli come lui, non sono degni di avere il vostro aiuto.

Appena potrà, vi attaccherà, sono esseri crudeli quelli..< ma prima che continuasse, Picard lo interruppe.
>Lasci a me il compito di decidere queste cose.
Su questa Nave non si abbandona nessuno..< e prima di
eventuali repliche da parte dell'umanoide, fece un cenno a Beverly e si allontanò.

Picard si portò nell'altra stanza.
Un paio di infermieri si stavano occupando di Thua, che era sveglio e molto agitato.
Si avvicinò.
>E lei chi è ?< stava quasi gridando in direzione del Capitano.
>Lasciatemi subito andare ! Maledetti, chiunque voi siate !
Dov'è Thau ? Lo devo fermare una volta per tutte !
Lui e quelli come lui, hanno portato alla distruzione il mio mondo.. Lasciatemi !!< a fatica lo
tenevano fermo, tantè che dovettero dargli un leggero anestetico.
Un po si calmò.
>Sono il Capitano di questa Nave, Jean-Luc Picard.<.
>Non mi interessa..< rispose Thua, più calmo per via del tranquillante.
>Voglio vedere Thau, lo devo fermare per il bene del mio popolo..<.
>Non ha più un popolo da difendere..< gli stava rispondendo Picard, ma lui non lo stava ad ascoltare.
>..se non lo posso fare io, lo faccia lei ! Prenda un'arma e.. non si fidi, lo elimini finchè siete..< poi i farmaci ebbero la meglio.
Picard lo osserò perplesso, poi se ne andò.

Quasi due giorni dopo l'Enterprise era ormai prossima alla Base Spaziale, Vener 17.
Nelle ore trascorse Thau e Thua erano stati tenuti sempre lontani e mai in contatto.
Thau sempre gentile con chiunque incontrasse, aveva rivelato di essere stato sul suo pianeta,
un ingeniere e spesso stava in sala macchine con La Forge.
Più volte, ma sempre in modo pacato, aveva cercato di convincere il Capitano, di non aiutare Thua perchè pericoloso.
Ma più di quello non aveva dato problemi.
Spesso invece Worf aveva dovuto tenere a bada Thua che più volte aveva cercato Thau per vendicarsi di lui.
Aveva cercato di prendere armi e aveva colpito alcuni della sicurezza.
Per quanto Picard avesse cercato di convincerlo che il suo odio non avrebbe portato a niente,
perchè il suo mondo era già stato distrutto da questo odio, Thua continuava a cercare la vendetta.

Infine l'Enterprise arrivò alla Base Spaziale.
Per l'ultima volta Picard tentò una mediazione tra i due.
Prima accompagnò alla sala teletrasporto Thua, che venne fatto scendere accompagnato da due della sicurezza.

Ancora una volta non ci fu niente da fare.
Poi toccò a Thau.
Con lui c'era sempre stato un dialogo pacifico e Picard non capiva come poteva esserci stato
tanto odio tra le due fazioni da portare ad una devastante guerra mondiale.
Possibile che sul loro pianeta le persone ragionevoli come Thau fossero state in minoranza ?
>Thau, spero ancora che tra lei e Thua si possa trovare una soluzione pacifica..< stava salutando sulla pendana teletrasporto.
>Il vostro pianeta è distrutto e voi siete gli ultimi due della vostra specie.
Il vostro odio non serve più a nulla.<.

L'umanoide sorrise al Capitano.
>Vorrei come fosse come dice lei.
Ma lo ha visto con i suoi occhi.
Con Thua non si può discutere, hanno la violenza dentro.
Come le ho sempre detto, avrebbe fatto meglio ad abbandonarlo da qualche parte.
Ma.. per ringraziarla per l'aiuto che ci ha dato, farò un'altro tentativo, Capitano.<.
Picard gli sorrise.
>Per ora questo mi basta.
Buona fortuna Thau.
L'Enterprise resterà attraccata ancora per un giorno, prima di riprendere la missione.
Se avrà bisogno mi chiami.
Nei prossimi giorni una Nave della Federazione vi verrà a prendere per portarvi dove vorrete.<.
Thau salutò il Capitano e si fece teletrasportare sulla Stazione.

Il giorno passò e tutto avvenne all'improvviso.
L'Enterprise stava per lasciare la Stazione quando..
Thua era sfuggito al controllo delle sue guardie ed era venuto in possesso di un phaser.
Ne aveva colpite alcune ed era andato a cercare Thau.
Lo aveva trovato nella sala centrale, a lavorare come aiutante provvisorio al motore che produceva l'energia che alimentava la Stazione.
Aveva preso ostaggi e aveva cercato di colpire anche Thau.
Thau si era riparato dietro una consol ed anche lui si era procurato un phaser.
Il loro odio si era riacceso.
Thau aveva bloccato l'accesso all'area e chiamò l'Enterprise.
>Capitano Picard.
Capitano Picard !< stava gridando nell'interfono.
>Quante volte le ho detto che non avrebbe dovuto aiutare Thua !
Tutto questo è colpa sua, Picard !<.

Sulla Plancia della Nave, Picard rispose all'armato.
>Thau, si calmi !
Ci lasci fermare Thua, tutto questo non ha senso.
Non faccia gesti irreparabili, sulla Base ci sono più di 400 persone.
Lascia che l'aiuti..< ma Thau era ormai fuori controllo.
I colpi di phaser continuavano e i pochi all'interno della sala motore erano in preda alla paura.
Altri stavano tentando di entrare, ma ci sarebbe voluto tempo.
Thua gridava e sparava incontrollato verso Thau.
Thau prese la sua decisione.
>Capitano Picard, mi dispiace che finisca così.
Ma non posso permettere a Thua di cavarsela anche questa volta..< diceva sempre nascosto dietro il pannello di controllo.
Spinse alcuni pulsanti e una parte del motore si aprì.
>Picard, mi avrebbe dovuto ascoltare !
Avete circa 15 secondi per allontanarvi da qui..!<.
Poi gridando frasi d'odio verso Thua, iniziò a sparare all'interno dell'apertura nel motore.

Picard sì alzò di scatto dalla sua poltrona.

>Data, ci porti via da qui, ORA !!<.
Alla Nave occorsero troppi secondi per allontanarsi.
Alla fine il pasher di Thau ebbe l'esito voluto.
Il motore esplose in maniera devastante, distruggendo la Base Spaziale !
L'esplosione colpì anche l'Enterprise che subì gravi danni ad una gondola di curvatura e alla zona delle navette.
Molti furono i feriti o peggio.

Due settimane dopo l'Enterprise aveva ultimato le riparazioni.
Tutti sulla Nave non avevano ancora del tutto superato quello che era avvenuto tempo prima.
Picard intento ad osservare le stelle nel bar di prora benvendo il suo tè, ripensava agli ultimi giorni.
Pensò tristemente che per certe cose forse, non c'è una risposta.
Poi tornò sul Ponte, aveva ancora una missione da portare a termine.
view post Posted: 25/8/2013, 17:21 Esperimenti illeciti, di Marco Gaiani - Gli amici della Writers Trek
ESPERIMENTI ILLECITI - di Marco Gaiani

Com'era bello il Tunnel Spaziale.
Eppure quale pericolo rappresentava, per via di quello presente dall'altro lato.
La Stazione Spaziale Deep Space Nine o Terok Nor, come la chiamava il suo popolo, posta nelle sue vicinanze, sarebbe stata la sua casa d'ora in poi.
Su Cardassia non avrebbe più potuto fare quello che era riuscito a realizzare lì.

Sarebbe stato un sacrificio per lui, ma per il bene della sua gente, doveva farlo.

Durat su Cardassia era stato un emminente scienziato, aveva persino partecipato alla costruzione di Terok Nor, la conosceva bene.
Ma aveva dovuto fuggire dalla sua casa natale e cambiare nome.

Amici lo avevano aiutato a nascondersi su Terok Nor e gli avevano offerto una nuova opportunità di ricominciare.
Su Cardassia i suoi esperimenti non erano stati capiti.

Aveva spiegato loro del grande pericolo proveniente dall'altro lato del Tunnel Spaziale e quello che lui sapeva essere giusto fare, a qualsiasi costo.
Ma nonostante i suoi sforzi, non era stato capito e le autorità lo volevano arrestare.

Pazzi ! pensò..

Durat era riuscito a farsi assegnare un alloggio in una parte della Stazione che conosceva bene, dove pazientemente era riuscito a crearsi un nuovo laboratorio nascosto, abbastanza grande da proseguire i suoi esperimenti senza essere notato.
Dopo settimane di paziente e duro lavoro e con l'aiuto dei suoi amici su Cardassia, era pronto a ricominciare su Terok Nor.
Su Cardassia non si era capito a fondo il pericolo rappresentato dalla forza proveniente dall'altro lato del Tunnel, il Dominio.

Sempre più si sentiva parlare del Dominio, una forza ostile ben peggiore dei Romulani, dei Klingon o della Federazione.
Doveva agire.

Ora che era pronto, doveva solo attendere la persona giusta.

Era immerso in questi suoi pensieri nel locale di Quark, intento a sorseggiare solitario birra romulana, quando la vide.
Una giovane ragazza cardassiana.

Era con amici al tavolo del Dabo ed era perfetta.
Durat aspettò pazientemente l'occasione giusta.

Seguì il gruppo e attese che la cardassiana restasse sola, l'avvicinò.
Aveva scelto il posto più sicuro per non essere notato, per quello che stava per fare.
Si avvicinò alla ragazza e l'urtò.

>Oh, mi scusi. Le ho fatto male ?< chiese con un'ampio sorriso.
La giovane cardassiana ancora felice per la serata, non sospettò nulla.
>Oh no, tutto bene< rispose gentilmente.
>Mi chiamo Durat.

E' bello incontrare un'altra cardassiana su Terok Nor, siamo così in pochi qui.<.
Hai già visto l'apertura del Tunnel Spaziale ?
Sono uno scienziato e mi interesso proprio del Tunnel.

Fra pochi istanti si aprirà e se vuoi vederlo bene, qui vicino c'è un'ottima posizione.< disse Durak, sempre in maniera gentile e rassicurante.
La ragazza per un'attimo fu dubbiosa.
>Il Tunnel Spaziale ?
Bè, in effetti ancora non l'ho visto bene, sarebbe divertente.
Andiamo sì, ma solo pochi minuti, poi devo tornare nel mio alloggio.<
>Ma certo..<.
>Bene, andiamo allora..<.
Durat le sorrise dolcemente e si allontanarono.

Ma il giro fu breve.
Durat con una siringa ipodermica addormentò la giovane cardassiana e controllato che non ci fosse nessuno nei paraggi, entrò nel suo alloggio.
Sdraiò la ragazza su un divano e aprì una porta segreta.

Comparve un alloggio nascosto pieno di strumenti scientifici e una poltrona centrale.
Lì avrebbe compiuto il suo esperimento.
Riprese la ragazza ancora priva di sensi e la portò dentro.
La sistemò sulla sedia al centro, illuminata dall'alto e chiuse la porta segreta.
Si girò verso la ragazza e iniziò.

Il giorno dopo, gli amici della giovane cardassiana iniziarono a preoccuparsi per la loro amica.
Da troppo non si faceva sentire era scomparsa.
Chiesero aiuto all'unica persona che poteva aiutarli e nemmeno era una persona.
Il conestabile Odo, si mise alla ricerca della ragazza.
Odo si informò dove avevano passato la giornata e dell'ultimo posto dove si erano visti, il locale di Quark.
Chiese in giro, visionò filmati della sicurezza, ma non c'era nessuna traccia della giovane cardassiana.
Una fuga volontaria ?

Poche navi avevano lasciato la Deep Space Nine e quelle erano state accuratamente controllate.
E poi la ragazza non era il tipo per questo genere di cose.

Un qualche tipo di incidente ?

Non gli erano giunti segnali nemmeno da questo punto di vista.
Odo inizò a sospettare di un rapimento.
Ma perchè ?
In ogni caso, se davvero c'era stato un rapimento, chi lo aveva effettuato era stato davvero abile a nascondere
le sue traccie e questo preoccupò ancora di più il Capo della Sicurezza, Odo.

Nei giorni a seguire, Durat aveva seguito con attenzione e discrezione i vani tentativi di Odo di rintracciare la ragazza cardassiana.
Come avrebbe voluto spiegargli quello che era successo e il perchè.

Durat era dispiaciuto di quel che aveva fatto alla ragazza.
Ogni giorno, proprio come su Cardassia, fino alla sua quasi cattura, era andato a pregare in un piccolo tempio cardassiano su Terok Nor.

Pregava per le sue vittime, pregava che presto avesse potuto trovare un soggetto
adatto al suo esperimento, che sopravvivesse al suo trattamento.
Perchè gli amici che gli erano rimasti sul pianeta natale, continuavano a dargli notizie,
oltre quelle apprese da lui stesso sulla Stazione, che il pericolo del Dominio dal Quadrante Gamma era reale !

Stava pregando al suo solito orario, quando al piccolo tempio arrivò un cardassiano di mezza età.
Durat lo osserò attentamente prima di sceglierlo come sua prossima cavia.
Sembrava essere in buona salute, forse poteva farcela.
Forse lui era quello che da tempo cercava.
Nella sua testa Durat, iniziò a pensare a come attuare il suo piano.
E così avvenne.

Bastò un giorno a Durat per osservare la routine del cardassiano.
E solo poche ore per farlo infine arrivare nel suo laboratorio segreto, privo di conoscenza.
Ancora una volta il soggetto, non sopravvisse alla procedura.

A Odo invece, venne notificata una nuova sparizione.
Era chiaro ormai che c'era un pericoloso criminale nascosto su Deep Space Nine.
Ma trovarlo sarebbe stato estremamente difficile, persino per lui.
Ancora una volta chiese in giro e visionò filmati.
La moglie del cardassiano di mezza età scomparso, riferì dell'abitudine del marito di andare di tanto
in tanto a pregare, perchè la sua malattia non progredisse.
Odo visionò quindi il filmato di una telecamera posta nei pressi dell'unico piccolo tempio cardassiano della Stazione.
La telecamera non era in una posizione favorevole, non la si vedeva quasi.
Ma aveva ripreso qualche secondo del cardassiano scomparso e le gambe di un'altra persona,
ma troppo poco persino per Odo, per capire se fosse o meno il rapitore.
Altri giorni passarono e Durat si sentiva sempre più al sicuro, con Odo sempre senza nessun indizzio sul colpevole dei rapimenti.

Gli insuccessi dei suoi esperimenti continuavano, ma sentiva che con un solo altro tentativo ce l'avrebbe fatta questa volta,
con un soggetto sicuramente in buona salute e forte fisicamente.
E lo aveva già visto, lo conosceva bene.
Era il sarto cardassiano di Terok Nor, Garak.

Durat studiò il comportamento e le abitudini di Garak qualche giorno, prima della sua mossa.
Ma diversamente dal solito, questa volta lo incontrò prima.

La sua solita scusa fu uno scontro “accidentale”.
>Oh, mi scusi che sbadato che sono, mi perdoni.< disse affabile Durat.

Garak che stava di fronte al suo negozio di sartoria intento ad osservare i passanti della Passeggiata, non aveva notato l'altro cardassiano venirgli incontro.
>Si figuri, nessun problema.
Ma guarda un'altro cardassiano.
Non siamo in molti su questa Stazione.
Cosa la porta di bello in questa regione dello spazio..< disse Garak, indiacando col le braccia ovunque.

>Affari..< rispose Durat.
Ma prima che Garak potesse chiedere altro, continuò.
>Vedo che lei è un sarto, avrebbe qualche bell'abito anche per me ?<.
Garak fece uno dei suoi soliti larghi sorrisi.
>Ma certo, signore.

Anche se vedo dai suoi eleganti abiti che non ne ha così bisogno.
Ma sarò lieto di mostrarle alcuni abiti, se vuole..<.
>Mi spiace, ora non ho tempo.
Ma la verrò senz'altro a trovare.. presto, molto presto..< e se ne andò.

Garak rimase per un'attimo senza parole e salutò con un cenno della testa.
Poi tornò nel negozio.

Durat aveva visto ciò che voleva e alla notte stessa, avrebbe agito.
Così fece.
Osservò Garak chiudere il locale ed andarsene.
Lo seguì, sicuro che come al solito, sarebbe andato nel suo alloggio.
Avrebbe agito in un punto non del tutto sicuro, ma per Durat questa volta, lo sentiva, valeva il rischio.
Al momento giusto senza farsi notare, con la sua siringa ipodermica, prese alle spalle Garak.
Ma Garak si rivelò più forte e abile del previsto.

Durat riuscì solo parzialmente ad anestetizzarlo.

Garak cadde a terra ma non del tutto svenuto come di solito accadeva, lottava ancora.
Durat preso alla sprovvista, per un'attimo non seppe che fare.

Stava per tentare di iniettare ancora il suo siero, quando notò qualcuno avvicinarsi.

Non poteva restare, per questa volta il suo piano era fallito, scappò.
Julian Bashir arrivò qualche istante dopo trovando Garak a terra semisvenuto.

Chiamò i soccorsi.

Qualche ora più tardi, Garak, si risvegliò in infermeria.

Bashir e Odo era accanto a lui.
>Come si sente..< chiese il medico della Stazione.
>Molto meglio, grazie amico mio..< rispose Garak col suo solito modo affabile.
Intervenne impaziente, Odo.
>Ha visto chi l'ha aggredita ?

Come certo saprà, da qualche tempo sono scomparsi alcuni cardassiani sulla Stazione.

E nostante i miei sforzi, ancora mi sfugge il colpevole.
Lei è l'unico che è riuscito a sfuggirli, mi serve il suo aiuto..<.
Bashir diede un'occhiataccia al Conestabile, ma poi con un cenno, permise a Garak di rispondere.
>Mi spiace Odo, ma mi ha colto alla sprovvista.
Ho solo qualche frammento di ricordo, ma sarò lieto di aiutarla come posso.<.
Odo non perse tempo.

>Guardi questa registarzione video.
C'è solo qualche frammento di immagine, ma ho come il sospetto che c'entri il nostro criminale.
E' stata presa da una telecamera nei pressi del piccolo tempio cardassiano
sulla Stazione, dopo l'ultima sparizione..< e gliela mostrò.
Garak osservò le immagini.
>Certo non c'è molto da osservare.
Probabilmente non potrò aiutarla.< disse.
>Si vede solo un cardassiano che sembra di mezza età e delle gambe di..<.. poi si fermò.
>Che c'è..< chiese Odo sospettoso.
>Quel tipo di scarpe.. e anche i pantaloni..<.. Garak si massaggiò la testa.
>Ho già visto vestiti simili, sono particolari ed eleganti, proprio come..<.
Odo sorrise.
>Avanti, mi dica tutto.
Lei sa chi è vero ?
Mi può fare una descrizione ? < chiese.
>Farò di più, glielo farò vedere..< rispose Garak.

Durat era spaventato, ma una settimana dopo il fallito tentativo di cattura di Garak, tutto sembrava come al solito.

Odo ancora cercava senza dare segni di sapere chi fosse il criminale sulla Stazione e Garak dopo
cinque giorni in cui aveva girato con una scorta era tornato a fare il suo solito giro, negozio/alloggio normalmente.
Durat si sentiva di nuovo sicuro, e progetto un'altro tentativo, sempre nello stesso punto.

Di certo ne Garak ne altri se lo sarebbero aspettato.

La sera stessa, avrebbe provato di nuovo, ma stavolta non si sarebbe fatto sorprendere.
Attese il nuovo momento giusto.
Ancora una volta le abitudini di Garak, come di altri, sarebbero stati per lui un vantaggio.

Osservò il sarto chiudere il negozio e dirigersi al suo alloggio.
C'era poca gente sulla Passeggiata quella sera, un segno positivo per Durat.
Preparò la siringa ipodermica che aveva resto più potente e attese.

Garak che portava con sé una grossa borsa, si stava avvicinando.

Durat lo stava osservando furtivo, lo vide posare la borsa e fare qualche passo in avanti.

Vide Garak voltarsi indietro come se avesse sentito qualcosa, ma non c'era nessuno.
Era il momento giusto.

Durat uscì dal suo nascondiglio ed era pronto a colpire.

Ma un secondo prima di farlo, comparve inaspettatamente Odo !
Durat si immobilizzò dallo spavento.

Come aveva fatto ad arrivare lì senza essere visto ?

Eppure Durat era stato estremamente attento.
Esitò un secondo di troppo, per tentare una fuga.
Garak ed Odo gli furono addosso e lo catturarono.

>Lasciatemi ! < gridò.
>Voi non capite !
L'ho fatto per Cardassia...
I miei esperimenti.. devono proseguire..
Ce l'avrei fatta questa volta..< continuava a gridare, Durat.
>Avrei reso i cardassiani più forti !
Posso riuscire a modificare il DNA della nostra gente.

Renderci più intelligenti, resistenti..
Non capite ?

Il Dominio è troppo potente per tutti noi..
Invaderanno questo Quadrante e Cardassia non soppravviverà alla loro invasione, se IO non renderò la
mia gente più forte..< continuò a gridare, quasi delirando.
Garak ed Odo si guardarno senza dire una parola, prima di portarlo via.

Due giorni dopo, Durat era in viaggio verso Cardassia, prigioniero.
In evidente stato confusionale aveva rivelato ad Odo tutto quello che aveva fatto.
I mesi di esperimenti sul suo pianeta, decine di cardassiani rapiti e torturati per i suoi folli esperimenti.
La fuga da Cardassia verso Terok Nor una volta scoperto, ma protetto ad alcuni amici potenti.
Su Deep Space Nine lo avevano aiutato a nascondersi, ma la sua follia lo aveva ancora una volta tradito.

Aveva anche rivelato il nome del suo complice, il braccio destro di Gul Dukat.

Tutti erano stati arrestati.

Durat e i suoi amici, non avrebbero più fatto altro male.
view post Posted: 25/8/2013, 17:20 Incontro di fuoco, di Franca Marsala - Gli amici della Writers Trek
INCONTRO DI FUOCO - di Franca Marsala

Il comandante era in plancia, seduta a osservare il suo equipaggio. Sapeva che serpeggiava il malumore tra i suoi uomini. Non riuscivano a capire perché fosse così interessata a quel minerale: l’aragonite. E ovviamente neppure perché fosse disposta a sfidare chiunque per averlo.
Ma era lei al comando e quindi dovevano ubbidire.
- Tenente, si diriga verso il pianeta Ostricus, alla massima velocità di curvatura.
- Sì, Comandante.
Il subcomandante si avvicinò.
- Ael…
- Sì, Hexce?
- Davvero non so cosa vuoi fare.
- Ne abbiamo già discusso in privato. Non ho intenzione di tornarci sopra.
- Tu lo sai che se avanziamo ancora, giungiamo nello spazio Klingon e tu sai di cosa sono capaci.
- Subcomandante, tu sai benissimo di cosa sono capace io.
- Sì, comandante, ma non comprendo davvero questa tua ostinazione.
- Voglio quel minerale e lo avrò, a qualsiasi costo.
- A costo delle nostre vite?
- Hexce – lei cambiò tono – puoi accusarmi di tante cose, ma non di essere un cattivo comandante.
- Certo, non l’ho mai neppure pensato.
- Bene, me lo auguro proprio. E ricorda che parli con un superiore.
In quel momento una nave apparve sullo schermo.
- Comandante… - gridò quasi il subtenente Dhiemm.
Certe volte invidio la calma e il controllo dei vulcaniani, pensò Ael.
- Si calmi, ragazzo. È solo una nave Klingon.
- Solo? – sbottò il suo secondo.
Appunto, si disse Ael, meglio, a volte, i vulcaniani.
- Lo sapevamo il rischio che correvamo. Siamo ben armati e ben motivati, vinceremo noi.
- Non dovremmo neppure trovarci qui.
- Adesso basta, subcomandante, torni al suo posto.
Al suo sottoposto non restò altro che annuire.
I klingon non persero tempo, iniziarono a sparare siluri contro la loro nave. Fortunatamente gli scudi ressero.
- Forza – disse Ael – facciamo vedere a questi cavernicoli che siamo più bravi di loro in battaglia.
Risposero al fuoco. Si accorsero ben presto che erano entrati in una fase di stallo. Gli scudi di entrambe le navi resistevano, e nessuno dei due comandanti voleva cedere.
- Ci chiamano – disse Hexce.
- Sullo schermo.
Apparve la faccia ottenebrata del comandante Klingon.
- Sono il comandante Kang. Siete nel nostro territorio, arrendetevi e consegnateci la nave.
- Sono il comandante Ael, non cederò mai.
- Avete sconfinato, dovete arrendervi – sottolineò con rabbia il Klingon.
- Non abbiamo ancora sconfinato. Siete voi che ci avete attaccato nello spazio aperto.
- Comandante, non intendo stare a discutere con lei. Avete pochi minuti per arrendervi.
Chiuse il contatto.
Maledizione, imprecò Ael.
- Signore, posso dare il mio parere? – intervenne Hexce.
- No – lo zittì lei.
E ora che faccio?, si chiese.
Sullo schermo apparve un’alternativa. Una nave della federazione: l’Enterprise.
Mancavano giusto loro, si disse Ael. Sapeva chi comandava quella nave: un impiccione di prima categoria.
- Signore...
- Sì, tenente, ho visto. Spero solo si facciano i fatti loro.
- Comandante, forse se domandassimo il loro aiuto…
- Non si azzardi, Hexce– lo ammonì Ael, dura. – Siamo entrambi loro nemici, non faranno una scelta. E poi non lo voglio il loro aiuto. Ce la faremo.
- Signore, l’Enterprise chiama.
- Subtenente li ignori. Non voglio sentire le chiacchiere di quel pallone gonfiato di Kirk. Anch’io ho anni di esperienza, so come gestire questi frangenti.
Notò che Hexce la guardava.
- Subcomandante, se ha dei dubbi, li esprima.
- No, signore. Nessun dubbio.
- Meglio così. E ora non perdiamo altro tempo. Attacchiamo i Klingon.
E così fecero, ma poco dopo erano di nuovo in stallo.
- Ho deciso, mi farò teletrasportare a bordo con una squadra d’assalto.
Hexce la fermò.
- Comandante, è troppo pericoloso. Andrò io.
- Lei non si muove di qui. È un ordine. Le affido la nave.
Il teletrasporto la portò nel cuore della nave Klingon. Così credeva, e invece si vide davanti il viso, non troppo dissimile dal suo, di Spock.
- Sono l’ufficiale scientifico Spock – esordì lui.
- La conosco di fama, comandante. Io mi chiamo Ael.
- Anch’io conosco la sua fama, comandante. Se vuole seguirmi, il capitano Kirk l’aspetta.
- Non voglio vederlo. Non mi interessa cosa ha da dirmi e voi non dovete immischiarvi in questa faccenda.
- D’accordo, comandante, come desidera. Il capitano voleva solo farle notare che non uscirete da questa situazione tanto facilmente. Avete navi e armamenti uguali.
- Quindi avete deciso che dovete risolvere voi la cosa?
- No, comandate, la prima direttiva…
- La prego, detesto tutte le vostre regole e i vostri tanto decantati buoni sentimenti. Poi voi vulcaniani, così dannatamente pacifici. Devo considerarmi vostra prigioniera?
- No, è libera di andare.
- Bene, mi mandi sulla mia nave e non mi saluti il suo capitano.
Poco dopo Ael comparì davanti al suo vice.
- E ora siamo si ricomincia – gli disse prima che lui potesse interrogarla.
Però con sua grande sorpresa, vide che la nave Klingon era sparita.
- Volevo avvertirla, comandante, i klingon sono fuggiti.
- Fuggiti? Ma loro non fuggono mai, preferiscono morire.
- Ritengo c’entri l’altra nave.
- Maledetti terrestri. Come hanno fatto? E come si sono permessi? Li chiami immediatamente.
Sullo schermo il volto di Kirk la fissava.
- Capitano – lo aggredì lei – come si è permesso? La prima direttiva la scordate quando vi fa comodo?
- Non proprio, comandante. Ma in questo caso, non potevamo rimanere neutrali. I klingon avevano un carico prezioso a bordo, un ambasciatore a cui è interessata la federazione, non potevamo permettere che succedesse loro qualcosa. Persino quei guerrieri hanno capito che doveva arrivare vivo e in buona salute su Ostricus.
- Ostricus? Lì sono diretti?
- Sì, comandante, e le do un consiglio pure se non richiesto: li lasci arrivare fin lì in pace. Se non vuole mettersi contro la federazione.
- Ma io… Anch’io ho degli interessi in quel pianeta.
- Li metta da parte.
- Kirk, io non prendo ordini né da lei, né dalla vostra accozzaglia di pianeti.
- Comandate – intervenne Spock, che come sempre era al fianco di Kirk – stavolta ha di fronte una nave più potente della vostra.
- Comandante, mi meraviglio. I vulcaniani…
- Io ho dei doveri verso la federazione e verso questi uomini. E vengono al primo posto.
- Allora, che ne pensa? – disse Kirk.
Ael poté solo imprecare. Di nuovo.
- Tenente, ci porti via di qui.
L’aragonite non poteva rimanere solo un sogno, si ripeteva, non l’avrebbe permesso. Però per il momento era meglio allontanarsi.
Avrebbe rincontrato l’Enterprise nei suoi viaggi: il detestabile capitano Kirk, l’ancora più odioso vulcaniano. E allora stavolta, con una nave più potente, li avrebbe sterminati. Fosse stata pure l’ultima sua azione della vita.
Era una promessa, da mantenere.
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